domenica 26 agosto 2012
[per elio] la ragazza carla
A una svolta della Ragazza Carla c’è un lungo calco impressionante che sembra tale e quale lo zio Ezra («nell’affare della soda, bell’e concluso in un momento delicato / […] / fu il rapporto dello scambio / dollaro sterlina – si compra a sterline si vende in dollari / a Londra c’è cancelliere un matto / che buttò a mare l’affare»); volti pagina e spunta Bertoldo Brecht shakerato in salsa surrealista, o in un ritratto di padrone delle ferriere à la Grosz («ci sono anche quelli che a sera / si tolgono un occhio mettendolo accanto / alla scrittura di Churchill, sul comodino, / intanto che fumano la sigaretta: / è un occhio fasullo, di vetro, ma è vera / l’orbita cava nel volto»).
Lattes-Fortini – mentre fa mostra di un giudizio inopinatamente quasi benevolo – dice sùbito che nella Ragazza Carla manca in fondo «ogni progressione» («la sicurezza e la plausibilità narrativa: probabilmente perché lo schema narrativo è già slogato, già posto fuori del tempo cronologico, prima che gli inserti lirici provvedano alle transizioni»); non sembra disposto a scommettere che la staffetta-mescidanza delle voci, il frenetico ‘saltar di lato’ dello sguardo di Pagliarani (d’en haut e d’en bas alternativamente: fra una casa di ringhiera, il vuoto/pieno delle strade, o il vetro schermato di qualche indichiarabile sancta santorum) è un altro modo di corrispondere al romanzo con le armi precipue della lirica: un poco – modernisticamente – un altro rincorrere il solito fantasma assillante dello spazio/tempo, sulle piste di una forma che nasce esibitivamente scoturnata (quasi grumo di tranches de vie) e poi cresce organando in un solo composto il falso e il vero, rubati maliziosamente (come un rubato in musica), manovrati in un teatro che finge beffardo di non avere più quinte, mescolati di bile cachinnî e qualche lacrima (ma signore di tutti gli organi resta il cervello!). Sono le lacrymae rerum, ma poi non perdiamo tempo in farneticazioni da vedovelle del socialismo che non diventa evangelo in terra. Chi ha tempo (anche per odiare: ‘odi et amo’), non aspetti altro tempo. «È nostro questo cielo d’acciaio che non finge / Eden e non concede smarrimenti, / è nostro ed è morale il cielo / che non promette scampo dalla vita […]».
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