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venerdì 20 luglio 2012

Scuola Pagliarani all'Isola


Scuola Pagliarani [23 luglio 2012] Cetta Petrollo all'Isola


[...] Adesso un po’ di aneddotica. Che a Pagliarani piaceva. Per affrontare la questione partendo dai margini e, per così dire , alleggerirla.
Eravamo a Via del Babuino, in un pomeriggio di settembre e credo fosse il 1977 e si parlava. Pagliarani era un grande maestro. Raccontava la storia e le storie. A chi amava raccontava. La sua passione per la storia e le storie degli uomini era vera e profonda.
Dunque come al solito mi raccontava storie.
E si parlava dei giovani e della politica. E io dico: “ Elio tu hai una enorme capacità didattica. Perché non apriamo una scuola? In questo momento ci sarebbe bisogno di una scuola”
E lui davanti alla libreria Feltrinelli, prima di attraversare la strada: “ Sì, brava, una scuola di poesia. Oggi chiamo Plinio”


Così in pochissimo tempo partì la prima edizione, presso la Galleria La Tartaruga ( suppongo nel 1977 ed è storicizzata nel numero 10/11 di Periodo Ipotetico). Inaugurazione molto romana alla presenza di Maria Luisa Spagnoli, di Marisa e Franco Bartoccini, di tutto il gruppo dei cesarettiani ( Cesaretto, così era chiamata la Fiaschetteria Beltramme in via della Croce di cui, chissà perché, ora mi viene in mente solo l’avvocato Ciarletta e di Carlo Conticelli, storico libraio della Feltrinelli. Insomma, sapete com’era in quegli anni, era tutto mischiato, splendidamente mischiato, gli architetti e gli industriali andavano, partecipavano a queste cose anche se non scrivevano un rigo di poesia, la società civile c’era e si interessava davvero alla letteratura, insomma nella scia lunga degli anni Sessanta anche gli anni Settanta erano pieni di curiosità verso il mondo ed i gesti della letteratura e della poesia.
E certo i poeti. Che Pagliarani fece tutti sedere in fila e intervistò pubblicamente. Chi sei. Cosa fai. Leggi qualcosa. Chi erano questi poeti? Certo erano tutti romani e i ricordi si confondono. Sicuramente ricordo un giovanissimo Valerio Magrelli e poi nella terza e quarta edizione del Laboratorio ( la seconda essendo sempre alla Tartaruga), anni 1980 e 1981, tutto il gruppo meraviglioso della Tigre in corridoio, una delle orchestrine di Pagliarani, questi ragazzi, generazione Cinquanta e dintorni, infatti leggevano bene ed erano tutti di famiglia proletaria o quasi e non è che Pagliarani li scegliesse così però così spesso capitava, ed era una grande esperienza vedere quello che succedeva quando Pagliarani ascoltava le poesie di persone che nella vita non campavano per la letteratura, o per l’insegnamento o per il giornalismo ( “ le peggiori categorie che ci sono in Italia sono quelle dei professori e dei giornalisti, siamo messi male io e te, Cetta” .
E quindi Antonio De Rose, Danilo Plateo, Gianni Rosati, Chiara Scalesse, Orazio Converso, Rosario Romero, Guido Galeno.
Molti altri poi, ma nel dubbio di non citarli tutti, non ne cito nessuno. Fatto sta che la Casa dello studente era sempre piena e le riunioni erano sempre calde e intellettualmente stimolanti.
Cosa diceva Pagliarani? Pagliarani soprattutto ascoltava. Burbero e assolutamente sincero nei commenti ma come un vero maestro senza mai uccidere la speranza né dare l’idea di possedere la verità.
Intanto il ritornello: i generi della poesia sono tanti e c’è spazio per tutti.
E poi se una poesia era bella ma l’autore la leggeva male lui non resisteva: “ dammi qua, la leggi male”
E non so, ma la poesia che prima ti sembrava brutta, cioè che sembrava ti lasciasse tale e quale eri prima di averla ascoltata, letta dalla sua voce e dal suo corpo, dove si sovrapponevano i piani del basso, in un ampio, generoso registro ritmato, diventava di colpo bellissima e il testo buttava fuori tutta la sua sottotraccia ritmica.


Una voce di mare. Andare su youtube per averne la prova.



Non solo scuola di poesia per così dire ma scuola di lettura con ciò sottolineando i due aspetti inscindibili della scrittura poetica e forse di ogni scrittura, la relazione, la voce, l’ascolto. Non è la stessa cosa leggere e scrivere con gli occhi. Farlo in solitudine.
Il gesto di Pagliarani era nella relazione dell’esserci. Qui, in questo momento, con gli altri ( e i racconti dei suoi reading in Georgia e in Sicilia da Buttitta, contadini e stranieri che arrivano al solo sentirlo, anche senza comprendere il testo, ma per la potenza dell’affabulazione, della voce).
Gli ultimi Laboratori a Via Margutta, prima di lasciarla, dunque siamo nel 1990 e 1991. Tutti, a turno, nella seggiolona nera con la stellina comperata a Porta Portese, tranne la padrona di casa che il suo laboratorio ce l’aveva tutti i giorni dalla mattina ( risveglio con verso diverso a seconda dell’umore) alla sera quando ci si infuriava su cose che con la poesia sembravano non aver nulla a che fare, ma ce l’avevano, eccome se ce l’avevano.
E poi fra il ’91 e il ’92 le ultime esperienze da Notegen a via del Babuino ( registrato il tutto da Paola Febbraro e da lei donatoci ).
E non potrei chiudere in modo migliore che citando Orazio Converso col suo ricordo del Laboratorio consegnato ad Alphabeta2:
“Elio raccontava di aver pensato spesso di imitare un eccentrico concittadino tanto fantasioso quanto intraprendente che nell'arduo dopoguerra delle campagne s'era inventato una fantomatica Scuola Popolare Itinerante di Agricoltura per sbarcare il lunario. Ora che il laboratorio, ed Elio stesso, "sono diffusi come pioggia sulla terra, divisi come un’ultima ricchezza, sono radice ormai...", per dirla col Poeta, possiamo pensare agli aggettivi, popolare e itinerante, che sono stati la marca del suo lavoro didattico: e che può essere anche nostra, per continuare. Magari col digitale che ora è lanciato oltre l'ostacolo. Sperimentare era così naturale per Elio Pagliarani che non è facile però immaginare come si possa riprendere il pathos dei suoi incontri in una scena distratta e dispersa che per fare ascolto avrebbe tanto bisogno invece del suo esserci . Un insopportabile stato di distrazione insidia la poesia, ma non solo. Fuor di metafora, Elio Pagliarani teneva insieme e rilanciava, individuava, i nodi che ogni nuovo poeta proponeva al suo ascolto. Faceva rete suo malgrado, per così dire, e di ciò era pienamente consapevole: pensiamo alla grande antologia virtuale di testi che il suo magistero dell'ascolto pubblico ha messo insieme in questi anni, ma questo è un passaggio troppo difficile da raccogliere anche per il possente digitale se non c'è più Pagliarani.” 

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