Glossolalìa può sempre risolversi in bellettrismo (eterogenesi dei fini?): forse il socialista libertario (il dottorino Elio, inurbato di Viserba) ha letto Gramsci meglio del chierico organico (o con più franco scapestrato disinteresse). «Proviamo ancora col rosso» (dirà più tardi Pagliarani): azzeriamo per un momento tutte le metafore. Una cosa è una cosa è una cosa. L’allegoria è teologica, ma la lettera è polisemica: il sermo humilis (Sanguineti-Auerbach) è una posizione stilistica, il sermo cotidianus (Pagliarani) una rivendicazione politica. La lingua dell’alienazione diventa gergo facilmente (oppure idioletto): non spacciamo una veglia funebre come fosse il primomaggio. Tra i feticci delle merci e della moneta, poco varrebbe atteggiarsi a profeti (nemmeno a cassandre): una palingenesi (se mai viene!) non sarà per domattina. Il fine è nulla ma il movimento è tutto, dunque in cinquant’anni potrà capitar spesso di rimettere mano all’organico strumentale. “Less is more”, ma poi le afasie vanno esplorate caso per caso, virando l’angoscia in latitudine paziente del discorso. Gli è che il caleidoscopio della realtà non sta vincolabile in nessuna formula. «Ci tocca vivere il no misurarlo coinvolgerlo in azione e tentazione»: per salmodiare la città che sale e cambia, non basta mai polmone o fiato (persino un doppio endecasillabo può sembrare un moncherino).
domenica 26 agosto 2012
[per elio] bellettristica e castrata
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