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martedì 27 dicembre 2011

Al bar di Arcavacata (il mattino dopo)


Ieri, mercoledì 4 maggio alle 17, nell'Aula Dioniso, Elio Pagliarani ha tenuto una lezione magistrale dal titolo "La sperimentazione artistica nel 900". Subito dopo un laboratorio di poesia. (..) Dieci numeri di una videorivista che - altro che Baricco e scuola Holden - mostra quanto la poesia sia ritmica, metrica, vocale, lettura, interpretazione, performance. L'avete mai visto Pagliarani leggere, non importa se un componimento suo o di qualche amico poeta, chessò un Antonio Delfini: "Ho fatto uccidere la giovane moglie / del procuratore del re: / mi assolverete con molte grazie". Si agita, interpreta col suo vocione impastato, dimena le mani come se fosse un direttore d'orchestra, impareggiabile nello scorgere il di più di voci, la polifonia di un testo e nel restituirle tutte al pubblico, stupefatto dei cosiddetti readings. Pagliarani porta il tempo, che altro non è che la stoffa della significazione.
Il maestro di metrica è il maestro di lettura. Leggere infatti non significa percepire ma comprendere e per comprendere mentre si legge, deve esserci un io ad enunciare ciò che si legge. "Legere" è sempre "légein", raccogliere un dire. Si filosofeggia spesso che "l'uomo è misura (metron) , di tutte le cose" dando la stura all'equivoco umanistico e all'antropocentrismo, ma possiamo star  certi che ai tempi di Protagora i greci difficilmente avrebbero pensato a un'asticciuola di legno come metron piuttosto che al metron poetico. Semmai l'uomo è il metro del poema delle cose.
Quelli di Pagliarani sono racconti in versi, giocati - come ha scritto Stefano Giovanardi - sulla "contrapposizione irriducibile e drammatica fra il 'mondo piccolo' dell'ndividuo e il ' mondo grande' della storia, tra l'istanza ideologica, istintuale, culturale del singolo e i soverchianti meccanismi dell'economia, delle istituzioni politiche e religiose, della scienza nella società industriale avanzata".
Questo c'insegna Pagliarani. Ma lo fa con una grazia e con un umorismo infiniti: " sappia il lettore di questa commovente poesia / in fondo al prato c'è la ferrovia  (..) / se ci sono vacche che fanno occhietto alle locomotive /anime sensitive "..
[giovedì 5 maggio 2005 Arcavacata di Rende (Cosenza), da Il ragazzo Carlo di Massimo Celani] All'università Elio Pagliarani legge Antonio Delfini, Arcavacata 2005: "Invece è proprio quest'ultima che Delfini aggredisce inventando i suoi toni più grandiosi nell'invettiva, nella farsa del nonsense, nel grand-guignol (vedi la poesia «O Goro» tra le escluse, che è anche un truce allucinato racconto), nel turpiloquio, nella derisoria ricorrente minaccia di guerra agli ignobili e di vendetta contro gli «assassini».
Il poeta lotta contro le parole e contro gli assassini degli uomini e delle parole. Oscilla tra la disperazione furente e l'esaltazione: «È inutile distruggere gli anni, / inutile la Gran Situazione: / Non c'è più salvezza -- più niente. / Rivoluzione, parola trombone» (scrive nel novembre 1958). -«Oggi sono il capo di una grande rivolta. / Mi ascoltan gli uccelli nel cielo / mi ascoltano i cani stavolta!» (conclude la poesia «Torna la liberta» dell'agosto 1959). A rendere abitabile il mondo che sta finendo penseranno gli squadroni dei fedeli d'Amore, guidati da «una Bambina con una rosa in mano», figlia di Guido Cavalcanti! Gli ignobili imperversano e le parole del poeta sono la realtà: Mercanti, banchieri, avvocati, ingegneri, cocchieri, / non siete che polvere di rotti bicchieri, / di cui faremo carta vetrata per sfregiare la faccia / dei nostri irricordabili ricordi di ieri. (Alfredo Giuliani)"

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