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martedì 17 aprile 2012

[Portrait] Claudio Damiani


* Elio Pagliarani è per me inseparabile dal Laboratorio di poesia che creò alla fine degli anni Settanta a Roma, e è inseparabile dalla mia giovinezza. Perché eravamo tutti con lui, a casa sua. In quella casa sul pendio del Pincio, nel centro di Roma e che sembrava in campagna. Si entrava in un portone e poi diverticoli di vicoli, scalette, boschetti. Credo che Elio sia stato il primo in Italia a fare un Laboratorio di poesia, e per la portata storica che ha avuto, rimane credo l’unico. In quel laboratorio ci incontrammo tutti: era una generazione intera di scrittori in un momento di passaggio importante, da una fase storica di lacerazioni, di ideologia, a una visione nuova di ricomposizione, di pietas. Pur appartenendo al Gruppo 63, a una formazione cioè fortemente ideologica, Elio fu con noi soprattutto un poeta, un umanista come quelli di un tempo, una persona dotata di un’incredibile capacità di ascolto. Anche se parlava poco (aborriva la lezione) avrebbe comunque voluto dirci delle cose, farci fare ad esempio dei «collage» alla maniera dell’avanguardia, ma sapeva bene in cuor suo che noi non li avremmo mai fatti. Il cuore del Laboratorio era la lettura dei nostri testi, seguita dal suo formidabile giudizio, e da una libera discussione che egli pilotava in modo magistrale. Tra il testo e il giudizio c’era una lunga pausa, un silenzio terribile e panico, Elio teneva gli occhi chiusi e aspirava la sua pipa, poi emetteva un verdetto che, se anche severo, era sempre geniale, e ci illuminava tutti. [Claudio Damiani]

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